L’economia americana continua a lanciare segnali di forza, mentre le possibilità che la Fed possa decidere un ultimo rialzo dei tassi si sono ulteriormente ridotte. Si tratta di una combinazione di fattori che potrebbe ridare slancio al mercato azionario americano, in questo momento ancora orientato su indicatori negativi.
Giovedì l’indicatore sulla produttività del terzo trimestre negli Stati Uniti ha battuto le attese (orientate su un aumento del 4,1%) con una crescita annua del 4,7%, l’incremento più grande dal 2020. Il costo del lavoro per unità lavorata è calato al +0,8% nel terzo trimestre, contro il +3,2% registrato fra aprile e giugno. L’aumento della produttività rende meno problematici gli incrementi salariali nella gestione dell’inflazione perché all’incremento del costo del lavoro corrisponde una produzione più elevata. Anche gli ordini alle industrie Usa hanno battuto le previsioni, con un incremento del 2,8% a settembre, contro il 2,4% atteso dagli analisti. Nel frattempo, le richieste iniziali di sussidio di disoccupazione, che indicano approssimativamente quanti lavoratori stiano perdendo il lavoro si sono mantenute sotto controllo a 217mila unità settimanali – livelli che non fanno pensare all’avvicinamento di una possibile recessione.
Tutti questi segnali si aggiungono ai principali indicatori che avevano preceduto l’ultima riunione della Fed, fra cui brillava la crescita del Pil nel terzo trimestre vicina al 4%.
E’ l’ora di andare controcorrente?
Gli indicatori di sentiment degli investitori e dei dati tecnici sul mercato, tuttavia, continuano a lampeggiare in rosso: per alcuni è un buon momento per tornare a investire sul mercato azionario. Una nota degli analisti di Bank of America ha sottolineato come a ottobre il Sell Side Indicator, una misurazione delle allocazioni azionarie degli strategist di Wall Street sia scesa di ben 37 in territorio pessimista – il maggior deterioramento nelle aspettative dell’ultimo anno. Gli analisti ritengono il Sell Side Indicator una misurazione storicamente affidabile come “contrarian” ossia da interpretare controcorrente. Sotto tale luce, BofA ritiene che l’attuale livello del Sell Side Indicator sia compatibile con un rialzo del 16% per l’S&P 500 nei prossimi 12 mesi. “Storicamente, quando l’indicatore è stato a questo livello o più basso, i rendimenti dell’S&P 500 a 12 mesi sono stati positivi nel 95% delle volte (contro l’81% complessivo) con un rendimento mediano del 21%, “sebbene l’aumento dei tassi abbia pesato sul sentiment azionario, riteniamo che le aziende e i consumatori possano resistere meglio del previsto, dato che hanno tempo per adattarsi”.
Anche l’indicatore Fear & Greed della Cnn, vede segnare in rosso sei indicatori su sette, attestandosi a 32 punti su 100, in pieno territorio di “paura”, ossia di aspettative negative. In particolare l’estensione dei rialzi, che esprime il numero delle azioni che stanno aumentando di prezzo rispetto a quelle che stanno perdendo quota, è profondamente negativa – il che rivela come i rialzi degli ultimi giorni restano confinati a un numero ristretto di azioni. Un cattivo segnale per la fiducia complessiva.
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Prove di rimonta
Parte della possibile risalita sembra essersi già osservata su bond e azioni. La domanda di Treasury a lungo termine è tornata crescere, in seguito alle ultime dichiarazioni rilasciate da Powell al termine della riunione del 1° novembre. Il Buono del Tesoro a 30 anni, con un rendimento al 4,828% è tornato ai livelli minimi dal 13 ottobre; il decennale rende il 4,669%, contro il 4,876% di inizio settimana. Nelle prime ore della seduta l’S&P 500 ha guadagnato circa un punto e mezzo, riportandosi sui livelli del 18 ottobre.
L’effetto-Fed si è visto anche sull’obbligazionario europeo, con il Btp decennale tornato al di sotto del 4,6% per la prima volta dal 22 settembre (con uno spread sul bund arrivato a scendere sui 182 punti base ai minimi dal 25 settembre). Solo nell’ultimo mese il Btp ha visto una compressione del rendimento di circa 30 punti base. Fra i governativi europei ha guadagnato quota anche il Gilt decennale, il cui rendimento è sceso di oltre 110 punti base al 4,376%: la Banca d’Inghilterra giovedì ha deciso di lasciare invariati i tassi, aggiungendo che non si dovrebbe “lasciare la politica monetaria restrittiva per un periodo eccessivamente lungo”.
Con le maggiori banche centrali (con l’eccezione del Giappone) ormai considerate al capolinea con i rialzi, la gran parte delle discussioni nei prossimi mesi saranno dominate dalla tempistica sui primi tagli dei tassi — sui quali Powell, per ora, ha preferito non fornire indicazioni.

