Che il ceto medio, in Italia, fosse quello, per certi versi, più colpito da oneri e tasse era una cosa piuttosto risaputa. Tuttavia, un recente studio dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica di Milano mette in luce, più da vicino, perché accade questo fenomeno.
Cosa dice lo studio
Lo studio realizzato da Ocpi evidenzia in modo chiaro che a pesare sulla bilancia delle famiglie del ceto medio non c’è solo l’aspetto fiscale ma, anche, la circostanza di non poter accedere a tutta una serie di benefici e vantaggi. Per il ceto medio, infatti, è minore rispetto ad altre categorie di nuclei familiari o di contribuenti la possibilità di portare in detrazione alcune spese dall’Irpef e, inoltre, è minore l’accesso a diversi servizi pubblici locali o nazionali
Più in particolare, osservano gli autori del report: “non c’è solo l’Irpef a determinare il saldo fiscale effettivo per le famiglie del ceto medio; le cose peggiorano in modo evidente se si prendono in considerazione tutti i benefici potenziali persi”.
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Da chi è formato il ceto medio in Italia?
Come mette in chiaro lo studio, dal titolo “Ceto medio tartassato, non c’è solo l’Irpef”, i contribuenti con redditi superiori ai 35 mila euro l’anno (quelli che comprendono anche il “ceto medio”, che convenzionalmente raggruppa i contribuenti con redditi sopra i 35 mila euro e fino a 50 mila), sono il 14,3 per cento dei contribuenti, dichiarano il 40,2 per cento del reddito e pagano il 59,1 per cento dell’imposta netta erariale.
In Italia, quindi, il ceto medio è composto da coloro che vantano un reddito tra i 35 mila euro e i 50 mila euro. Questa fascia sociale risulta essere quella più tassata.
Non solo più tasse: anche meno benefici fiscali
I cittadini del ceto medio non si trovano solo esposti al pagamento di più tasse ma anche a ricevere meno “benefici fiscali”.
L’Irpef è un’imposta progressiva. Dunque, all’aumentare del reddito cresce l’aliquota media, quindi la quota di reddito prelevata a ciascun contribuente. In altre parole, l’Irpef è una imposta progressiva che tassa proporzionalmente di più i “ricchi” dei “poveri”.
Ciò comporta che, correlato a questo principio, all’aumentare del reddito alcuni benefici fiscali in ambito Irpef (le detrazioni per lavoro e famiglia) si riducono o addirittura si azzerano: dal bonus trasporti, allo sgravio contributi, alle detrazioni per i figli o per i familiari a carico.
Ma non è tutto. Ai benefici legati alla soglia di reddito si affiancano quelli legati all’Isee. Quest’ultimo dipende dal reddito, spiega Ocpi, ma comprende anche qualche elemento patrimoniale (valore dell’abitazione e del portafoglio finanziario).
L’indicatore Isee consente, a certe condizioni, di fruire di benefici per l’università, per le residenze sociosanitarie, per l’assegno unico e universale per i figli. L’Isee condiziona, inoltre, anche l’accesso agli asili nido, il peso delle tasse universitarie, il bonus bollette, il bonus conto corrente. Solo per dirne alcuni.
E invero, come osserva Ocpi, poiché, sull’Isee influisce in larga parte anche il reddito dichiarato, il ceto medio si trova, anche per queste ragioni (tra le altre) esposto a una maggiore difficoltà di accedere a benefici e vantaggi economici e fiscali messi a disposizione dallo Stato.

