Dopo le ultime riunioni della Federal Reserve (Fed), gli operatori del mercato si sono ritrovati a interrogarsi sulle implicazioni del mancato aumento dei tassi d’interesse. La reticenza di Jay Powell, Presidente della Fed, a innalzare i tassi ha sollevato domande sul futuro dell’inflazione e dell’economia statunitense. Ma, a differenza delle aspettative di una svolta espansiva, sembra piuttosto che Oltreocano si stia preparando il terreno per un periodo “tassi più elevati, più a lungo”. Jason England e Jim Cielinski, rispettivamente portfolio manager e Global Head of Fixed Income di Janus Henderson Investors, analizzano i motivi dietro questa posizione.
Rialzo dei tassi: un salto o una pausa?
La Fed, imparando dalle lezioni del passato, sta procedendo con cautela. La decisione di Powell di non alzare i tassi riflette una strategia che privilegia l’analisi dei dati economici e una graduale correzione dei tassi, evitando inversioni premature che potrebbero danneggiare l’economia. Powell ha sottolineato che la possibilità di aumenti dei tassi rimane sul tavolo se l’inflazione non si dovesse allineare alle aspettative della Fed.
Secondo gli esperti della casa di gestione angloamericana, La Fed sta ponderando attentamente le proprie decisioni, basandole su valutazioni complete e periodiche dei dati macroeconomici. “Sebbene l’indice dei prezzi della spesa per consumi personali sia sceso al 3,3%, con la componente core al 4,2% – spiega England – altre metriche più dettagliate probabilmente stanno dando manforte ai falchi all’interno della Fed. L’indice annuale dei prezzi al consumo della Fed di Atlanta è ancora al 5,3%. Tuttavia, il tasso annualizzato a 3 mesi della stessa serie è scivolato a un più tollerabile 3,6%. Con segnali contrastanti, e un’economia ancora in crescita nonostante i 525 punti base (pb) di rialzi già effettuati, crediamo che la Fed abbia buoni motivi per rimanere vigile”.
Un probabile eccesso di resilienza
L’incertezza sull’andamento dell’economia è aumentata con le revisioni al rialzo delle proiezioni economiche della Fed. La crescita del PIL è stata rivista al rialzo, passando dal 1,0% al solido 2,1% per il 2023. Questo suggerisce che i tassi alti potrebbero essere necessari per un periodo più lungo, poiché la politica monetaria richiede più tempo per produrre effetti significativi.
“Siamo convinti – spiega Cielinski – che la Fed di Powell correrà il rischio di decidere che i tagli effettuati sinora siano stati sufficienti. Il carattere apparentemente sorprendente dell’economia statunitense si è reso evidente nel fatto che, nelle ultime tre riunioni, la Fed ha modificato la valutazione della crescita da “modesta” a “moderata” e ora a “solida”. Anche se ciò corrobora la tesi secondo cui l’agognato atterraggio morbido sarebbe un esito possibile in questo ciclo, i falchi non hanno intenzione di restare a guardare.
Allo stesso tempo, Non crediamo che esista attualmente un vero e proprio fronte di “colombe” fra i membri votanti della Banca centrale statunitense. Tuttavia, il gruppo centrista può citare le aspettative di inflazione core per il 2023 ritoccate al ribasso al 3,7% (dal 3,9%) come prova che i tagli già effettuati stanno iniziando a filtrare nel sistema e che serve più tempo per vedere ulteriori progressi. Ecco perché consideriamo la tattica del “salto” della Fed come un compromesso prudente tra le due fazioni”.
Gli investitori osservano con attenzione queste dinamiche. Sebbene la Fed abbia previsto ulteriori rialzi dei tassi nel 2023, indicando una politica restrittiva, ha anche ridotto le aspettative di tagli di tassi nel 2024 e 2025, con previsioni di chiusura dei tassi sui Fed Fund rispettivamente al 5,1% e al 3,9%. Questo suggerisce che la Banca centrale statunitense sta cercando un equilibrio tra le fazioni favorevoli a tassi più elevati e quelle che vogliono un inasprimento più graduale.
In conclusione
Per gli investitori, il contesto attuale richiede prudenza. Nonostante le aspettative di un atterraggio morbido per l’economia, ci sono ancora molte variabili in gioco, come i mercati del lavoro tesi e i rischi geopolitici.
“Come si evince dal rendimento del Treasury a 2 anni attestato sopra il 5,0% – evidenzia England – il mercato si è abituato a una Fed interamente dedita a mettere fine a questa ondata inflazionistica. Ma con la conclusione del ciclo di rialzi probabilmente alle porte, le obbligazioni a breve scadenza presentano interessanti opportunità di rendimento che non esistevano due anni fa. Gli investitori non avranno bisogno di una svolta per generare rendimenti in questi punti della curva, dato che i tassi “alti più a lungo” ormai rappresentano la norma, a prescindere dal livello terminale”.
“Nell’ambito del credito, gli strumenti cartolarizzati, come i prestiti o i titoli garantiti da asset o da ipoteche, hanno scontato un indebolimento economico più pronunciato rispetto ai corporate e, di conseguenza, potrebbero presentare prezzi appetibili qualora si concretizzasse un atterraggio morbido, o anche solo una recessione poco profonda”, conclude Cielinski.

